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Premorte

Alessio Tavecchio Pre-morte testimonianza

Alessio Tavecchio Pre-morte testimonianza pre-morte parte prima

 

Alessio Tavecchio Pre-morte testimonianza : questa testimonianza che comincerete a leggere oggi e che continuerà nel prossimo aggiornamento del sito è l’esperienza di premorte, l’esperienza NDE (near death experiences) di Alessio Tavecchio, presidente della Fondazione Alessio Tavecchio Onlus di Monza, www.alessio.org

 

Alessio Tavecchio non ricorda il momento dell’incidente, la sua uscita dal corpo fisico, semplicemente si trova a vivere questa strana avventura, la vive ma solo lentamente, come vedrete mette insieme i pezzi del mosaico e comprende: ciò che sta vivendo lo sta vivendo come Anima, ha avuto un incidente con la moto, vive, è se stesso oltre quel corpo fisico che conosce.

 

Così commenta, a posteriori, nella crescita spirituale che questa esperienza ha prodotto in lui ciò che era prima della NDE; ascoltiamolo:

 

“Prima dell’incidente il mio rapporto con Dio era praticamente inesistente. Il mio obiettivo principale era quello di vivere la vita al massimo, cercando di godere il più possibile, con il desiderio ossessivo di sempre “nuove emozioni”. La continua ricerca “esteriore” faceva parte di me, ma molte volte mi chiedevo se quello che conoscevo, quello che facevo, quello che imparavo, quello che accadeva fosse semplicemente “un caso” oppure se tutto avesse un senso, un significato profondo.

 

A volte desideravo con tutto me stesso di trovare anche un solo significato e di dare un valore più importante alla mia Vita, ma spesso era molto più semplice e comodo fuggire da questa voce della coscienza per tuffarmi ad alta velocità nel caos della quotidianità.

 

Il malessere che provavo e che mi faceva sentire perennemente scontento, malgrado avessi tutto per essere felice, nasceva dal fatto che l’Io di Alessio, non era in contatto con il suo nucleo, la sua anima. Risultava quindi vana ogni ricerca sui perchè della mia esistenza. Non capivo che per poter cogliere nel mondo esterno la soluzione dei miei problemi, occorreva analizzare prima di tutto il mio malessere interiore. Siccome però sfuggivo perennemente dal mio intimo potenziale spirituale, fuori non potevo trovare altro che occasioni di fuga ...

 

A forza di fuggire e fuggire arrivò improvvisamente quel giorno, che sembrava fosse una delle tante noiosissime domeniche alla ricerca di qualcosa da fare e che invece si è rivelata una data che avrei ricordato per sempre: domenica 5 dicembre 1993, l’appuntamento più importante della mia vita: l’incidente motociclistico.”

 

Alessio ci permette di entrare completamente nelle sue emozioni e racconta:

 

“L’accadimento.

 

Tutto è cominciato il 5 dicembre 1993. Una domenica pomeriggio noiosissima come tutte le altre. Vado in giro per non stare fermo, ma è un girare a caso, sempre sulle stesse medesime tracce della vita materiale che non mi propone obiettivi allettanti e neanche semplici soddisfazioni. Sì, perché ormai non riesco più nemmeno a divertirmi. Non traggo piacere nemmeno a fare cose esagerate, non perché non sia capace di godere, ma perché queste distrazioni non rispecchiano il mio vero bisogno: quello interiore. Sto agendo e vivendo per lo più secondo la necessità del bisogno esteriore, facendo cose che soddisfano solo il mio piccolo IO, creandomi, o facendomi addirittura creare dagli altri, esigenze effimere che mi portano in luoghi sconosciuti e pericolosi.

 

Sono consapevole che questo fatto è assurdo perché alla fine quello che faccio non corrisponde alla mia vera esigenza, quindi non mi gratificherà mai; al massimo mi darà solo illusioni momentanee, alle quali sono ormai abituato da tempo e so che sono anche quelle che lasciano profonde ferite.

 

Non riesco ad alimentare la mia vita in modo soddisfacente nel senso della qualità, quella qualità che conosco e so come è fatta, ma che riesce ad affiorare soltanto nei miei più lontani pensieri e non riesce a raggiungermi qui intorno a me; non riesco a metterla in pratica. È questo contrasto tra dentro e fuori che piano piano mi sta facendo uscire di testa.

 

Comunque, dall'esterno non si vede tutto questo, ma mi pesa tanto. Pronta decisione, bella presenza, intelligente, simpatico, impaziente, rapporti familiari molto sofferti, un po’ nervoso, molta fretta nel fare qualsiasi cosa e tanta voglia di viaggiare. Caratteristiche comuni a molte persone di questa terra, a persone "normali" che cercano di vivere bene la loro vita facendo il necessario. Il necessario… cos'è questo necessario? Sarà fare il proprio dovere e divertirsi, semplicissimo! Questo è quello che la società odierna propone e offre su vasta scala. Principalmente lavoro e piacere.

 

Io cerco di identificarmi in queste realtà movendomi di conseguenza, ma più mi incanalo su queste strade e cerco di essere simile agli altri, più affiora, là, in quello spazio lontano della mia mente, quella grande voglia di qualità e di purezza che mi allontana immediatamente da tantissime cose inutili e mi fa star bene.

 

Mi impegno molto per vivere esteriormente come voglio: fuori sono forte e dentro debole e fragile, alla fine ricado sempre dove mi sento più sicuro, anche se so che ciò è sbagliato: non ci si può sentire sicuri in cima a un palazzo che non abbia solide fondamenta.

 

Se devo fare un resoconto della mia vita fino a questo punto, lo giudicherei decisamente confuso e insufficiente. Non tanto per quello che la vita mi ha dato, ma per quello che non sono ancora riuscito a esprimere della vita stessa che mi appartiene. Ma tra due giorni sarà diverso, sarò diverso. Il giorno del mio ventitreesimo anno di vita. Non sono più 20, 21 o 22, saranno 23; 2+3=5, e 5 è esattamente la metà di tutti i numeri base che esistono (da 0 a 9).

 

Sto varcando la soglia, anche se non so quale soglia. So solo che così non si può andare avanti e sento da mesi e mesi che questo passaggio è quello giusto, quello vincente.

 

Il tempo è bello e la moto mi aspetta in garage, queste questioni psicologiche le risolverò più avanti, adesso è tempo di godere.

 

Improvvisamente mi viene una voglia di andare in Germania. Si va in Germania per vedere un Gran Premio di Formula 1.

 

Mi trovo in compagnia di altra gente, di notte, di fronte all'ingresso del circuito, formato da una grandissima arcata di legno ricoperta di fiori e di erbe con un'insegna luminosa di color giallo a forma di semicerchio con scritto Salzburgring.

 

Bello, di notte si entra senza biglietto, proprio come a Monza. Un'avventura nel parco sfuggendo ai controlli della polizia.

 

Tutti insieme iniziamo ad addentrarci un po' avventurosamente, perché non conosciamo il posto, e dopo poco tempo che camminiamo su un viale erboso in mezzo alla foresta dove si trova il circuito, di fronte a noi vediamo emergere dalla nebbiolina carica di grande umidità che proviene da tutti gli alberi intorno a noi, un grosso camion che viene nella nostra direzione. Mentre avanza nella nebbia e diventa a mano a mano sempre più visibile, scorgo che sul cassone del camion ci sono dei militari che sparano a tutta la gente che tenta di entrare clandestinamente e che fugge.

 

«Ma stiamo scherzando?! Questi sparano sul serio!».

 

È meglio rinunciare e scappare perché questi tedeschi sono proprio pazzi. Mi viene da pensare che stiano attuando un'aggressione di tipo nazista, come se fossimo tornati al tempo della Seconda guerra mondiale.

 

Voglio allontanarmi da questo posto, il più presto possibile.

 

Di colpo una voce, una presenza femminile.

 

«Alessio, dài andiamo, forse c'è la possibilità di provare una macchina da corsa, ti piacerebbe?».

 

Io rispondo subito di sì pur di allontanarmi immediatamente da quella situazione, tant'è che non bado minimamente a questa ragazza e alla modalità con cui si è presentata.

 

Mi trovo a bordo di una monoposto blu, in coda ad altre, tutte pronte per uscire dai box non appena viene data la luce verde. La ragazza, che so chiamarsi Mara, così come lei sa che mi chiamo Alessio, mi dice di tenere in bocca un tubo per poter respirare, mi mette il casco e mi lascia lì pronto, avvisandomi che si farà rivedere dopo.

 

Tutto è successo così rapidamente che mi sembra, dal momento della fuga, sia passato un attimo. Comunque sia, adesso mi trovo a bordo di questa monoposto, un po' perplesso.

 

Passa del tempo e comincio ad avere un gran freddo, infatti sono in maglietta a maniche corte, di notte, su questa macchina che ha, oltretutto, il sedile gelato. Osservo un po' in giro e, guardando bene, mi accorgo che le macchine non sono dei nostri giorni. Sembrano le Formula 1 che c'erano ai tempi del grande Ascari.

 

«Ma perché devo tenere in bocca questo tubo? Mi dà un gran fastidio! Poi ho freddo, tanto freddo e il semaforo è sempre rosso».

 

Mi viene sempre più voglia di rinunciare a questa prova, fino a che decido di uscire dalla macchina, anche se non ci riesco perché ho le cinture di sicurezza; mi sento legato. Allora studio un possibile modo per uscirne e immediatamente so che devo ribaltare la macchina su un fianco con un colpo di bacino. Temo nel fare questa cosa. Temo per il fatto che così facendo rischio di rovinare la macchina e potrei venire sgridato severamente, anche perché sono macchine piccole e vecchie, quindi aspetto ancora …

 

Arrivato quasi all'esasperazione, comincio a sperare che qualcuno mi aiuti, che qualcuno mi veda in difficoltà e, quasi immediatamente, al mio fianco si ripresenta Mara. Faccio uno scatto perché mi sono quasi spaventato, non mi sono accorto che si è avvicinata. Comunque lei mi sorride e io sono contento.

 

«Alessio, dài andiamo. Ci aspettano degli amici a casa di una mia amica che danno un pigiama party».

 

Io non rispondo, mi va bene così come è. Vicino a lei sto bene e mi sento come protetto e guidato nel giusto.

 

Improvvisamente, sono già in un appartamento pieno di gente e Mara mi presenta a tutti. Non dice il mio nome, dice semplicemente che siamo arrivati, e gli altri mi salutano come se mi conoscessero, chiamandomi per nome. Anch'io li saluto e mi sento tra amici e in questo preciso momento so che Mara mi ha lasciato, non è più vicina a me.

 

La festa è bella, si ride, si scherza, si mangia, è tutto bello, tranquillo. A fine serata la proprietaria annuncia che è ora di coricarsi e decidiamo tutti di dormire in questo grande salotto moquettato.

 

Ci sistemiamo, e lei passa da ognuno per dare un tubo da mettere in bocca per non perdere della saliva sulla moquette, e inoltre obbliga anche a legarsi i polsi al pavimento, come se dovessimo stare immobili tutta la nottata. Dentro di me provo un netto rifiuto e mi sembra quasi assurdo, però nessuno fiata, sembra tutto normale e io mi sento trasportato dalla situazione, quindi comincio a prendere sonno adattandomi alle condizioni imposte.

 

A un tratto spalanco gli occhi e mi sorge una domanda da dentro.

 

«Cosa sto qui a fare legato e incubato? Io voglio andare via, non ho più sonno, mi voglio divertire».

 

Non riesco quasi nemmeno a finire di formulare questa domanda che mi trovo al bancone di un locale notturno affollatissimo e chiassosissimo in compagnia di una bella ragazza. So che io e lei ci frequentiamo da un po' di tempo, anche sessualmente, e mentre la musica suona le sue note rock, io e lei ci stiamo fumando uno spinello tra una risata e l'altra. Bevo. Bevo whisky a valanghe e vado sempre più fuori di testa.

 

La nottata sembra trascorrere in un attimo, e quando la gente comincia ad andarsene dal locale la mia compagna mi chiede di accompagnarla e di fermarmi poi a casa sua. Io da seduto faccio per alzarmi, ma non ce la faccio, sono molto fuori, troppo fuori per muovermi. Tra l'altro mi viene in mente che sono venuto in moto e mi sorge come il dubbio che avrei rischiato molto nell'accompagnarla a casa in quello stato, quindi le dico di andarsene da sola e che ci saremmo rivisti. Lei va e io rimango, rimango lì a cercare di alzarmi da quella sedia completamente ubriaco e fumato.

 

Buio, sempre più buio. Come mai mi sento inghiottito ovunque intorno a me da questo buio profondo, freddo? Come ci sono arrivato qui da un momento all'altro?

 

Sto malissimo e non riesco a controllare questo crescere vorticoso di paura, la vera paura, il panico. Cerco di muovermi per lasciare questo luogo, per trovare uno spiraglio di luce, per vederci più chiaro, per sentirmi meglio, ma mi sento come imprigionato in una scatola di buio, anche se allo stesso tempo ho come l'impressione di essere un puntino vagante nell'Universo tutto pervaso da questo buio.

 

Mi agito e scalcio, ma non c'è via d'uscita. Dove mi trovo non esiste né l'alto né il basso, né il grande né il piccolo, ma solo l'ovunque. Sono disperato.

 

«Ma cosa mi sta succedendo? Dove sono andato a finire?».

 

Comincio ormai a sentirmi rassegnato. Temo di non poter scappare e adesso ho come la sensazione che questo buio, vivo e freddissimo, stia cominciando a mangiarmi, a rosicchiarmi, spaventandomi sempre e sempre di più.

 

Chiudo gli occhi, anche se ciò non fa differenza, per cercare di ritrovare me stesso ed escludermi da quello che mi circonda. Cerco di concentrarmi solo sul mio corpo e di dimenticare il NULLA che mi avvolge.

 

Funziona! Piano piano mi calmo e nella mia mente sento affiorare un po' di razionalità, un po' di domande. Comincio a ragionare sull'ultimo accaduto.

 

«Io sono in Germania. Sono qui a divertirmi. Come mai sono solo? Dove sono i miei amici? Non ho mai fatto un viaggio così, da solo. Di solito viaggio con Giulio, o Sascia, o con mio fratello. Al circuito di Formula 1, al pigiama party e al night ero circondato da gente che mi conosceva, mi chiamavano Alessio ed eravamo amici, però io non li avevo mai visti prima».

 

Anche la solitudine mi comincia a prendere, a impossessarsi di me. Solo, al freddo e al buio, con una grandissima curiosità di sapere cosa mi stia accadendo, ma non riesco a spiegarmi nulla di tutto ciò.

 

Improvvisamente dal buio profondo spunta davanti a me, in alto alla mia destra, uno schermo cinematografico sul quale vedo rappresentata nella notte una strada di città illuminata dai lampioni e completamente deserta. Deserta fino a che, da un momento all'altro, vedo qualcosa che scivola sulla strada e fa scintille come una cometa.

 

«Ma cos'è? Sembra una moto che scivola su un fianco. Ma quella moto… quella moto è la mia moto. Nooo!!!!!».

 

Ecco cos'è successo, ecco il fatto che spiega tutto. Ho fatto un incidente in moto.

 

Rimango alcuni istanti a bocca aperta a osservare, sbalordito e immobile, quello schermo e quella moto ormai ferma vicino al marciapiede. La mente viaggia velocissima ma non riesco a coglierne il minimo pensiero. Mi sento totalmente passivo e ancora un poco spaventato.

 

Improvvisamente lo schermo si smaterializza e io pronuncio ad alta voce e con tono molto amaro una frase che dentro di me sapevo che prima o poi avrei detto, quasi come se sentissi che l'accaduto era inevitabile perché lo conoscevo già da tempo.

 

«Alla fine ce l'ho proprio fatta a fare il danno. D'altronde doveva succedere prima o poi perché non si poteva andare avanti così: bere, fumare e rischiare».

 

Detto questo, ancora nel profondo buio che mi avvolge, dove ho provato la mia più Grande Paura, sento che le gambe non mi reggono più e mi accascio per terra, la vista comincia a offuscarsi fino a non vedere più niente, e anche il respiro diventa sempre più faticoso.

 

Da dentro di me sento liberarsi questo gran bisogno di essere aiutato. Solamente aiuto; che qualcuno mi salvi da questo stato di angoscia, che ora però è già più lieve di quello provato prima, quando non sapevo ancora niente. Ora so, ed è già come se metà paura fosse svanita, ma l'altra metà grida disperatamente aiuto.

 

(continua)

 

Alessio Tavecchio www.alessio.org

 

 

 

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