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Testimonianze

La Forza Di Vivere E La Speranza Di Amare

La Forza Di Vivere E La Speranza Di Amare Ancora Testimonianza

 

La Forza Di Vivere E La Speranza Di Amare : vivevo a Roma in una stanza pagata dai miei genitori per darmi la possibilità di trovare un lavoro e fare di me qualcosa di buono; trovai davvero poco in quei nove mesi trascorsi; un giorno di volantinaggio per un compenso di cinquanta euro; un mese di prove per uno spettacolo teatrale di tre giorni, con un compenso di cento ottanta euro; e infine quindici giorni come cameriere, per otto ore di sgobba e un compenso di trenta euro al giorno in un piccolo ristorante di Trastevere, ma vedevo solo lei nel mio futuro; per stare con lei ho perso soldi, tempo, e chance di inseguire i miei sogni e realizzarmi, per trovare invece un lavoro “normale”, del quale non me ne sarebbe mai importato niente e che non mi avrebbe mai dato ciò che più volevo, ma sopratutto non mi avrebbe mai fatto sentire a mio agio e appagato.

 

Da una parte sapevo dei rischi che correvo. Lei stava con un altro, seppur questo lui non riuscisse a dargli neanche la metà di tutto ciò che riuscivo a dargli io attribuendo a lei i giusti valori come essere umano e come donna. Lei andava e veniva, e lo tradiva. Per quanto mi riguarda non ebbi mai dei sensi di colpa per alcun motivo nei confronti di questo tizio, che non valeva neanche la metà di me come uomo, per tutto il male che le faceva e dei quali lei pativa tutti i giorni e mi raccontava. E la cosa che più desideravo in tutta la mia vita era amare e sentirmi amato, ed ero disposto a tutto per vivere tutto questo nella assoluta trasparenza con fedeltà e sincerità.

 

Lei stava bene con me, me lo diceva sempre. Ciò che provavo per lei era più forte di tutti i dubbi e le paure di perderla, che ogni giorno e ogni notte mi accompagnavano. Mi voleva bene ed io ne volevo a lei. "Con te oggi sono stata divinamente, come una regina!" ... Io lo sapevo che era così, perché era così che volevo che lei si sentisse: Una regina.

 

Ci divertivamo parecchio e passammo insieme delle bellissime giornate che non potrò mai a dimenticare neanche volendo. Più tardi dovetti partire per le vacanze di Pasqua e tornare a casa. Passammo così io e lei una intensa settimana, vedendoci tutti i giorni finché non arrivò il giorno della partenza. L' ultima sera mi accompagnò alla stazione di Termini, fino al treno che mi avrebbe portato a Fiumicino e imbarcarmi nel traghetto per Olbia. Mi abbracciò forte, piangeva. E gli dissi promettendole che malgrado tutti i problemi che avrei avuto a casa sarei tornato da lei dopo la Pasqua. Una scena in perfetto stile Casablanca. Salii sul treno e la lasciai alla stazione.

 

Continuammo così a sentirci tutti i giorni delle vacanze con telefonate, sms, e facebook. Al termine delle vacanze con la totale approvazione di mia madre mantenni la promessa a lei e tornai a Roma. Tornai da lei. La volevo, ero lì per lei, e lei non c' era più.

 

Trascorsi da solo delle noiosissime e interminabili giornate. Ogni tanto ci incontravamo. Ma era diversa, era cambiata ed io ne soffrivo. Stavo male per questo. Continuavo a illudermi che tutto potesse tornare come prima. Un giorno trovai lavoro come cameriere in quel ristorante di Trastevere. E anche se la paga era bassa a me piaceva lavorare in quel posto, e lo facevo principalmente per stare vicino a lei. Ma un giorno lei mi disse che non gli piacevano le condizioni di vita in cui vivevo e che sarebbe stato più saggio da parte mia tornare a casa. Non aveva capito nulla. Lavoravo sodo e mi affaticavo tanto, trovando la forza e l'entusiasmo di continuare il mio lavoro pensando solo a lei, quando ormai a stento mi cercava.

 

Ma un giorno accadde un fatto che mi fece davvero riflettere su tutto ciò che stavo vivendo. Come tutti i giorni mi recai al mio solito posto di lavoro, e sulla strada per il ristorante attirò la mia attenzione e curiosità un piccolo e azzurro cocorite ammaestrato. Viveva libero in una piccola scatola di fiammiferi semi-aperta. Ho sempre desiderato averne uno che mi tenesse compagnia. Mi avvicinai al bancone ad ammirare questo simpatico volatile quando a un certo punto senza che io glielo chiedessi mi porse tra le mani un biglietto che lui stesso estrasse da una custodia che conteneva decine e decine di altri bigliettini come quello affidatomi.

 

Vi erano una decina di righe scritte, ma la frase che più colpì la mia attenzione, che mi fece riflettere e star male allo stesso tempo fu questa: "Tornerai a casa e non avrai nulla da perdere". Non sapevo a cosa pensare e non volevo credere a ciò che lessi. Non volevo proprio. Solo una cosa era certa a me, e tutto quello che sapevo era che a casa io non ci volevo tornare e questo per il semplice motivo che non volevo ritrovarmi a vivere la stessa medesima situazione che a conti fatti mi aveva spinto a partire.

 

Camminando riflettei sui grandi ed enigmatici misteri della vita e a cosa tutto può riservarci che lo vogliamo oppure no, quando meno ce lo aspettiamo. Mi diressi verso il mio solito posto di lavoro ripensando a quella frase che io pensavo maledetta. Entrai nel ristorante, e i proprietari mi dissero subito senza perdere tempo e tanti giri di parole, che non potevo più lavorare per loro. Avevo perso il posto. Cercai subito di non dare alcuna connessione temporale tra il biglietto e l'accaduto poiché sapevo che mi sarei solo lasciato condizionare e influenzare negativamente da ciò che diceva quel messaggio.

 

Era una bellissima giornata di sole con il cielo limpido azzurro ed io avevo tutto il pomeriggio libero da impegni. Decisi così di camminare e fare una lunga passeggiata. Attraversai Trastevere e giunsi così fino alle sponde del Tevere. Di tanto in tanto mi fermavo come per cercare le più svariate risposte sulla possibilità se potesse esistere un destino per le persone già prestabilito. Una domanda, ma mille risposte. Scelsi di prendere la via più lunga prima di tornare a casa, e prendermi più tempo per riflettere e giunsi così all' incrocio di Castel Sant' Angelo.

 

Alla mia sinistra avevo la strada che porta in direzione verso piazza San Pietro e alla fermata della metro di Ottaviano. Alla mia destra, la strada in direzione di corso Vittorio Emanuele, via del Corso, piazza Del popolo fino alla fermata della metro Flaminia. A me piace molto camminare e decisi così di percorrere in direzione di via Vittorio Emanuele benché fosse la via più lunga, solo per la voglia farlo, riflettere e sfogarmi.

 

Pensai tutto il tempo a lei e alle parole del bigliettino. E a tutte quelle coincidenze che si intrinsecano nel percorso della nostra vita. Sulla strada che percorrevo mi fermai ad una piazza. Non ne ricordo il nome, ma ricordo bene che al centro di questa vi era una statua di bronzo e tutt'intorno vi erano delle panchine e per terra la ghiaia. Mi avvicinai alla statua e pregai. Mi rivolsi alla statua come per invocare l'aiuto dello Spirito che essa rappresentava. Chiesi ad essa consiglio e poi mi sedetti in una delle panchine che ci stavano intorno. Dopo una decina di minuti di preghiera andai via continuando la mia passeggiata. Avevo il passo lento. Tanti erano i pensieri che avevo in testa, che incominciai ad accumulare tensione. Il mio corpo ne risentì parecchio e un sentii un forte dolore allo stomaco crescere. Pensai alla colite come spesso mi accade quando vivo momenti di tensione molto-molto intensi. Il dolore si fece sempre più forte e più incalzante. Decisi di fermarmi e di aspettare l'autobus in una fermata di via Vittorio Emanuele.

 

Avevo bisogno di riposarmi e l'autobus arrivo subito dopo pochi minuti ed io montai a bordo. Il dolore non accennava a diminuire e temendo di avere un vero e proprio malore sotto tutti gli occhi dei passeggeri, scesi appena dopo due fermate. Il mio pensiero era sempre su di lei e non riuscivo e darmi per vinto, ad accettare come le cose erano andate tra noi. Ad un certo punto come spinto da una forza spirituale mi ritrovai nella stessa piazza che lei mi fece visitare il primo giorno che la conobbi.

 

Questo era il piazzale di Largo argentina. Cercai la panchina dove ci sedemmo, occupata da una giovane donna seduta dai capelli lunghi e bruni. Cosi aspettai di fronte ad essa appoggiato al parapetto che circonda e protegge gli scavi archeologici di età romana. I resti giacciono in un enorme scavo ed è recintato lungo tutto il suo perimetro da un parapetto di cristallo per la sicurezza dei turisti che visitano il sito.

 

Notai decine di gatti che girovagavano da padroni per tutta l’area all'interno di questo scavo. Una dolce bambina dai capelli dorati incuriosita, si avvicinò e insieme a me incomincio a contare tutti i gatti che scrutammo. "Ti piacciono I gatti?" , "Si. Guarda c'è un gatto nascosto sotto le pietre" mi rispose indicandomelo con il dito. Dopo diversi commenti corse dai suoi genitori e continuò a giocare.

 

Mi suona il telefono, è mia sorella che chiama per sapere se ci sono delle novità da parte mia e come sto, così le rispondo. Le solite chiacchere; “ciao come stai, che fai di bello”, nulla di più. E nel mentre stavo con lei al cellulare mi spostai di qualche metro, passeggiando un po’ fino a raggiungere una panchina libera e di lì mi sdraiai. Senza dilungarmi troppo cercai di spiegargli la mia situazione anche e se non mi andava troppo di parlare e volevo solo stare da solo. Finita con lei la conversazione tornai nello stesso punto di prima appoggiandomi al parapetto e posandomi nel gradino sottostante. Di fronte a me la mia solita panchina sempre occupata.

 

Benché avessi sempre la mente occupata da mille pensieri, mi accorsi che la stessa bambina che si divertiva a contare con me i gatti, in un velocissimo istante prese la rincorsa e con forza si sollevò da terra aggrappandosi e tirandosi su con le braccia, reggendosi sopra il corrimano del parapetto che circondava tutto lo scavo. Grazie ad un mio rapidissimo intervento riuscì a fermarla ed impedirle di cadere nel fondo. La presi in tempo per la vita e la tenni in braccio.

 

La donna che dinanzi a me occupava la panchina, ebbe solo il tempo di appoggiare il piede per terra prima di rendersi conto di ciò che stava avvenendo e del grave pericolo che quella bambina aveva scampato per un pelo. Le avevo salvato la vita. I suoi genitori corsero verso di noi e mi ringraziarono per ciò che avevo fatto. Essi esortarono anche alla piccola di ringraziarmi "Clara ringrazia questo ragazzo. E' un angelo che ti ha appena salvato la vita"

 

Come tanti flash vidi in ordine cronologico tutto ciò che avevo fatto in quella giornata, dal primo momento che uscii di casa. Ripensai al cocorite che aveva attirato la mia attenzione e i proprietari del ristorante che mi avevano tolto il lavoro. Poi successivamente la svolta all' incrocio di Castel Sant’ Angelo, quando scelsi di andare per Vittorio Emanuele piuttosto che San Pietro, che poteva essere la via più corta. La sosta dinanzi alla statua di bronzo e l'improvviso malore di colite. Le due fermate di autobus. E infine la panchina che avrei voluto libera occupata invece da quella giovane donna nel piazzale di Largo Argentina.

 

Se trovando libera la mia panchina, mi ci sarei seduto e non sarei mai stato in grado di fare ciò che invece sono stato in grado di fare e non avrei mai potuto salvare Clara. Nessuno poteva, solo io.

 

Arrivando da Trastevere fino a Largo Argentina decisi volontariamente di trattenermi nel piazzale proprio per ricordare il primo giorno che la conobbi, ma non potevo mai immaginare che tutto mi avrebbe portato a salvare la vita di Clara. Se io non l’avessi mai conosciuta, non mi sarei mai fermato in quel piazzale e Clara oggi non sarebbe con i suoi cari.

 

Io credo oggi che tutte le esperienze che si vivano dipendano da noi stessi e dalle persone che incontriamo nel nostro cammino. Mentre scrivo queste pagine, penso e vi racconto di quella lunga giornata di giugno. Per quanto dolore abbia provato a causa di un sentimento tradito, oggi consapevole del valore di ogni singola scelta e per come si siano sviluppate nell’arco di quella giornata e in quei mesi, sono contento di averla conosciuta. Non per lei, non per amore, ma per quella dolce bambina dai lunghi capelli biondi. Per Clara. Perciò ora dico a tutti voi che mi leggete, che come me sono caduti come dentro a un vortice di disperazione e solitudine, che come me sono arrivati fino a toccarne il fondo e hanno visto le sue pareti stringersi addosso, non disperate, perché la vita nella sua immensità ci troverà sempre un'altra occasione di riscattarci per il tanto male che ci è stato fatto, per trovare una via d' uscita ed essere felici ottenendo ciò che più desideriamo, avendo nostro per diritto di nascita, la forza di vivere e la speranza di amare ancora con la facoltà di sognare, perché è solo attraverso i sogni che possiamo trovare noi stessi e insieme a Dio condividerli e credere di poterli realizzare. Perciò prendetevi anche voi il vostro tempo, perché presto o tardi arriveranno tutte le risponde alle vostre domande.

 

Un abbraccio

 

La Forza Di Vivere E La Speranza Di Amare Ancora Testimonianza è esperienza di Antonio

 

 

 

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